Ranuccio II Farnese, il Duca di merda

November 30, 2007

 

Ranuccio II

 

Ranuccio II Farnese (17/9/1630 – 11/12/1694) fu il sesto Duca di Parma e Piacenza. I più conoscono il personaggio storico, celebrato in una delle due statue equestri di Piazza Cavalli. Molti però ignorano un’aspetto particolare che caratterizzò la sua figura e anche la sua reggenza. Ranuccio II Farnese soffriva infatti di coprofagia, una devianza del comportamento che porta il soggetto a cibarsi di escrementi propri e altrui. Chiaramente già al tempo si trattava di un comportamento deplorevole ed imbarazzante, specie per un nobile del suo rango, tanto che a corte tutti si prodigarono per celarlo. Tuttavia, alcune prove sono sopravvissute al corso dei secoli e ci aiutano a dipingere Ranuccio per quel che storicamente fu: un duca di merda.

Nel 1678, oltre ad istituire gli archivi di Parma e Piacenza, Ranuccio promulgò un editto chiamato “Sulle cortesi e nobili genti che affollano il patrio suolo” che poneva sostanzialmente delle comuni norme civiche di convivenza analoghe ai nostri regolamenti comunali. Se si analizza attentamente il documento, nell’ultimo foglio, quello siglato dalla firma e dal sigillo ducali, si scorge chiaramente un alone scuro. Attenti esami batteriologici hanno confermato il sospetto degli storici: si tratta di una volgare sgommata di merda del sovrano. Probabilmente Ranuccio si trovò a dover firmare il documento dinnanzi ai propri funzionari e fu costretto a farlo a mani ancora sporche, forse nascondendole in modo goffo contro il foglio.

Bisogna notare che in quegli anni il duca visse il punto più basso del proprio disturbo e, si suppone, giunse a ordinare la costruzione di una piscina personale di escrementi di cavallo a Bardi. L’ipotesi è indubbiamente suggestiva innanzitutto per l’esistenza di una razza equina tipica del luogo, il cavallo bardigiano, ed in secondo luogo per la tuttora ignota origine di un modo di dire locale che recita così:“Bardi, Bardi, castel ed merda ad cavaii”. Bisogna però precisare che ricerche archeologiche di suddetta piscina non hanno, ancora, avuto successo.

Più convincenti sembrano altri indizi. Numerosi cronisti che vissero a corte, hanno costellato i loro resoconti con riferimenti curiosi riguardo al sovrano, spesso con parole che per il tempo suonavano enigmatiche e di non facile comprensione. Come se volessero far filtrare un messaggio per i posteri. Così si riferiscono a Ranuccio come “… il Duca sturlissimo”(Francesco Antinori), “… il Sovran che feci di tutti sue fea” (Giovannone Podestì detto Busello) e “… se marron la cena non parea, sua non la volea” (Cassandro Zilioli).

Ancora più esplicito è proprio il Busello che, in un memoriale del 1698 postumo alla morte del duca, scrive: “… E poi il Duca de merda giunse e marron avea le mani tutte e di merda sporco il volto. E jo chiesi vergognoso davanti a tutti, – Ohssiggnore, Che avete voi da guardar? Che orribile odor io sento? Che cosa gli copre il viso? – Merda! – risposer i cortigiani -la merda del duca che la mai si rifuta! -. Tosto al Duca de merda inchinommi a baciar la man marron di cotanta merda plena…”

 

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